Sale and lease back e divieto di patti commissori alla luce della Cassazione n. 16646/2017

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Al fine di verificare la compatibilità del contratto di sale and lease back con il divieto di patti commissori statuito all’art. 2744 c.c., occorre innanzitutto definire la natura del contratto di sale and lease back, quale presupposto per esaminare le conseguenze giuridiche che ne derivino nella sfera patrimoniale dell’assistito, nonché le modalità di eventuale invalidazione.

Tale figura contrattuale, dunque, costituisce una modalità particolare di estrinsecazione del contratto di leasing.

Quest’ultimo viene tradizionalmente considerato un contratto socialmente tipico, in quanto schema contrattuale sorto nel concreto dipanarsi delle dinamiche commerciali, ed inizialmente privo di una specifica disciplina legislativa.

Tale figura contrattuale risulta dunque formata dal collegamento negoziale tra due schemi negoziali tipici: da un lato ricorre un contratto di compravendita intercorrente tra il fornitore del bene oggetto di locazione finanziaria ed il concedente, dall’altro il contratto di finanziamento intercorrente tra il concedente stesso e l’utilizzatore, finalizzato a consentire il godimento del bene grazie all’apporto di un soggetto abilitato al credito.

In tal modo si realizza uno schema negoziale trilaterale, dal quale discende una particolare connotazione del rapporto tra utilizzatore e concedente, e tra utilizzatore e fornitore.

In particolare, sebbene l’utilizzatore vanti un rapporto diretto con il solo concedente, il fatto che il collegamento negoziale posto in essere mediante il contratto di leasing sia volto alla realizzazione di un’unica operazione economica, da cui discende che l’utilizzatore si rivolga direttamente al fornitore per la scelta del bene, determina che il concedente sia esonerato dalla garanzia delle condizioni del bene acquistato per conto dell’utilizzatore, potendo al più rispondere per la mancata consegna del bene, e dunque quando sia del tutto impedito il godimento del bene all’utilizzatore.

Peraltro in ordine all’eventuale ammissibilità di una clausola di esonero della responsabilità del concedente per mancata consegna, la giurisprudenza risulta divisa a seconda della causa in concreto attribuita al contratto in esame: l’orientamento che sostiene che la funzione ultima perseguita dai contraenti sia quella di realizzare un’operazione di finanziamento ritiene ammissibile una simile clausola (cfr. Cass sez. III 21 giugno 1993 n. 6862); l’opposto indirizzo che pone risalto alla finalità di scambio sottesa al contratto de quo, e segnatamente di godimento del bene in capo all’utilizzatore, ritiene del tutto invalida la clausola di esonero della responsabilità in capo al concedente per mancata consegna del bene (cfr. Cass sez III 20 settembre 2007 n. 20592).

Diversi problemi si pongono con riguardo al rapporto tra fornitore ed utilizzatore: tra gli stessi non sussiste un rapporto negoziale diretto, pertanto risulta problematico comprendere se l’utilizzatore possa esercitare una azione diretta di risoluzione nei suoi confronti.

Sul punto è intervenuta la Suprema Corte, con sentenza resa a Sezioni Unite il 5 ottobre 2015 n. 19785, in cui i giudici di legittimità hanno ritenuto che, dal momento che il contratto di leasing presenta un collegamento negoziale cosiddetto atecnico – in quanto, accanto al requisito oggettivo del nesso teleologico, non ricorre il requisito soggettivo del comune intento perseguito dalle parti –, non risulta esercitabile da parte dell’utilizzatore una azione di risoluzione diretta nei confronti del fornitore, ma la stessa deve essere esercitata in via mediata, tramite il concedente, in capo al quale viene a configurarsi un vero e proprio dovere di attivazione dell’azione in esame.

Così descritto il quadro normativo e giurisprudenziale del contratto di leasing, è possibile precisare come il contratto di sale and lease back non sia altro che una particolare forma di leasing – è anche definito infatti leasing di ritorno – connotato dalla particolarità di essere un rapporto bilaterale, in cui non interviene un terzo fornitore, ma è lo stesso utilizzatore ad alienare al futuro concedente il bene oggetto di futuro godimento.

In altri termini, nel contratto di sale and lease back ricorre il collegamento tra un contratto di vendita da parte del proprietario – e futuro utilizzatore – di un proprio bene di natura strumentale ad una società di finanziamento che lo concede in leasing all’alienante stesso, il quale corrisponde un canone di utilizzazione con facoltà, alla scadenza del contratto, di riacquistarne la proprietà esercitando un diritto di opzione per un prezzo predeterminato.

La bilateralità della struttura di una simile fattispecie negoziale, dunque, collide con la ratio del divieto di patto commissorio, statuito dall’art. 2744 c.c., dal momento che il debitore, allo scopo di garantire al creditore l’adempimento dell’obbligazione principale, trasferisce a garanzia del creditore stesso un proprio bene, riservandosi la possibilità di riacquistarne la proprietà all’esito dell’adempimento dell’obbligazione, senza peraltro prevedere, nel caso di inadempimento, alcuna possibilità di recuperare l’eventuale eccedenza di valore del bene rispetto all’ammontare del credito.

In tal senso si è pronunciata la Suprema Corte, sez I, nella recente sentenza n. 1652 del 28 gennaio 2015, in cui i giudici di legittimità hanno affermato la nullità del contratto di sale and lease back, per illiceità della causa in concreto, laddove violi il divieto di patto commissorio, a meno che le parti con apposita clausola – cosiddetto patto marciano – abbiano preventivamente convenuto che al termine del rapporto il creditore debba, per acquisire il bene, pagare l’importo eccedente l’entità del suo credito, in modo da ristabilite l’equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni ed evitare che il debitore subisca una lesione dal trasferimento del bene in garanzia.

Le medesime motivazioni sono state recentemente riprese dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 16646 del 2017, in cui i giudici di legittimità hanno precisato che l’operazione contrattuale in esame può definirsi fraudolenta nel caso in cui si accerti la compresenza delle seguenti circostanze: a) la presenza (preesistente o contestuale) di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l’impresa venditrice utilizzatrice; b) una situazione di difficoltà economica del venditore legittimante il sospetto di relativo approfittamento (nel quadro del rapporto diretto ad assicurare una liquidità all’impresa alienante, è stata piegata al rafforzamento della posizione del creditore-finanziatore, il quale in tal modo tenta di acquisire l’eccedenza del valore, abusando della debolezza del debitore); c) la sproporzione tra valore del bene alienato ed entità del prezzo versato, in altri termini, delle reciproche obbligazioni nascenti dal rapporto.

L’esistenza invece di una concreta causa negoziale di scambio esclude in radice la configurabilità del patto vietato.

Il sale and lease back costituisce dunque un’operazione, caratterizzata da una pluralità di negozi collegati funzionalmente, e volti al perseguimento di uno specifico interesse pratico che ne costituisce appunto la relativa causa concreta, la quale assume specifica ed autonoma rilevanza rispetto a quella – parziale – dei singoli contratti, di questi ultimi connotando la reciproca interdipendenza (sì che le vicende dell’uno si ripercuotono sull’altro, condizionandone la validità e l’efficacia) nella pur persistente individualità propria di ciascun tipo negoziale, a tale stregua segnandone la distinzione con il negozio complesso o con il negozio misto, la cui valutazione assume decisivo rilievo ai fini della valutazione in termini di relativa validità o nullità

In conclusione, tale contratto è lecito se diretto a finanziare l’impresa, mentre risulta nullo – per illiceità della causa – se la sua funzione è invece di garantire maggiormente con la proprietà dei beni la società mutuante.

Dott. Luigi Tafuto

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