GLI NFT ED IL DIRITTO CIVILE

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Oggi, come anticipato nel precedente contenuto sul tema, con il secondo articolo andremo ad approfondire gli aspetti giuridici degli NFT e delle transazioni milionarie che tanto scalpore hanno suscitato in questo ultimo periodo:

QUALI SONO GLI ASPETTI GIURIDICI DELLE COMPRAVENDITE DI NFT?

Come detto in chiosa del precedente contenuto pubblicato sulla nostra pagina e sul sito (https://www.viscontilegal.it/tutti-ne-parlano-ma-cosa-sono-gli-nft-e-quali-sono-le-loro-possibili-applicazioni-quali-le-regole-quali-i-passaggi-per-acquistarli/ ), l’NFT con la quotazione di vendita più alta al mondo è attualmente, l’opera digitale “the First 5000 Days” dell’artista Beeple, venduta da Christie’s per 60 milioni di euro, l’opera digitale, o per meglio dire quella che dovrebbe essere contenuta nell’Hash richiamato nel NFT, è un collage di altre 5000 opere, venduta dalla famosa casa.(ecco una delle 5000 opere: https://images.app.goo.gl/Rv4WeqHkwgZxS2XY7 )

Eppure, questa transazione commerciale così importante, un’opera cosi “cara”, un investimento cosi rilevante, dal punto di vista giuridico è tutt’altro che “certo” e “certificabile”.

Si perché gli NFT che trasferiscono la “proprietà” di un’opera, in realtà il più delle volte trasferiscono la proprietà su quella copia dell’opera, senza impedire la libera diffusione della stessa sul web.

Se con un NFT si acquistassero ulteriori diritti sull’opera (es. con una cessione di diritti d’autore come quello di pubblicazione, riproduzione o di elaborazione dell’opera), questi sarebbero regolati da un contratto esterno alla blockchain (o al più datacertato su blockchain) che magari al suo interno potrebbe far riferimento alla cessione dell’NFT, ma torneremmo comunque a parlare di un contratto “ordinario” nelle forme e nelle tutele.(fonte: NetworkDigital360 Berti-Spoto-Zumerle)

Il vero problema è che se un domani l’autore dell’opera dovesse decidere di voler rivendere la sua opera, lo potrebbe fare, difatti, Egli ne avrebbe tutti i diritti, gli basterebbe modificare un semplice pixel, così potendone cambiare l’hash, creandone uno nuovo, svincolandosi, pertanto, dall’obbligazione precedente.

Quindi, grazie alla blockchain siamo in grado di affermare unicamente che l’acquisto, ad esempio, battuto in asta da Christie’s per 60 milioni di euro costituisce la prima cessione dell’opera.

Non saremo mai in grado però di affermare con assoluta e giuridica certezza, che Beeple, l’autore dell’opera, non abbia già ceduto l’opera stessa innumerevoli volte nei giorni, settimane o mesi precedenti, generando semplicemente, ogni volta, hash diversi attraverso minime variazioni di pixel.

In pratica, dal punto di vista giuridico ci accorgiamo che il valore e l’unicità di un NFT non si fonda realmente sulla tecnologia blockchain, ma sulla fiducia intercorrente fra il venditore e l’acquirente:

L’acquirente, infatti, auspica che il secondo non venderà o non abbia già venduto la stessa identica opera più e più volte, fiducioso che ciò non accada.

Se detta fiducia fosse tradita, il valore di quell’NFT si ridurrebbe sensibilmente, fino a scomparire, perché se, come detto, non può esistere un NFT uguale all’altro, possono esistere un’infinità di NFT, estremamente simili, derivanti da una piccola variazione, tutti creati ed utilizzati per trasferire la “proprietà” della medesima opera.

In questo caso l’acquisto (milionario) dell’opera finirebbe per essere stato davvero un pessimo affare.

COME CI SI PUÒ TUTELARE ALLORA SE SI VUOLE PROCEDERE CON L’ACQUISTO?

Abbiamo già detto che l’acquisto di un NFT non è ancora una compravendita garantita al 100% nonostante essa avvenga su piattaforme di Blockchain e nonostante l’hash non sia modificabile ma l’autore può effettuare delle minime variazioni dell’opera in grado di consentirgli di generare un diverso hash rivendibile a terzi.

Proprio per questa unilaterale possibilità e per questo squilibrio contrattuale, l’acquisto di un NFT potrebbe risultare all’esito un c.d. “incauto acquisto”.

Ad avviso di chi scrive, ad oggi, è ancora necessario fare ricorso al vecchio caro diritto civile e contrattuale, poiché i rimedi per impedire pratiche commerciali scorrette, vendite plurime, o peggio ancora truffe, sono unicamente contrattuali.

E’ quindi indispensabile che le parti, rivolgendosi ad i propri professionisti di fiducia, affianchino alla compravendita digitale mediante piattaforma, la redazione e sottoscrizione di un contratto in cui vengano regolati tutti gli aspetti legali e venga, inoltre, precisato che quello che è stato acquistato non è il semplice NFT contenente una copia informatica riportata parzialmente in un hash ma, l’opera stessa ed i diritti di disposizione ad essa collegati, vietando future compravendite e prevedendo sanzioni in caso di violazioni del divieto. Magari il citato contratto potrebbe poi essere “datacertato” sulla blockchain o con una semplice sottoscrizione digitale per conferma effettuata dai legali e successivamente scambiato a mezzo PEC per eccesso di Zelo.

In caso contrario, lo ricordiamo ancora una volta, chi acquista un’opera collegata ad un NFT non acquista l’opera in sé, ma semplicemente la possibilità di dimostrare un diritto sull’opera, garantito tramite blockchain, quale sia questo diritto e quali e quanti siano i soggetti che lo vantano non è però dato sapere.

La buona notizia è che già molti rapporti e molte transazioni avvengono su questo doppio binario, (blockchain/contratto a latere) e quella più soggettivamente buona è che il mondo ha ancora bisogno di avvocati.

Autore dell’articolo:

Avv. Giuliano Cuomo, Avvocato d’affari con specializzazione in diritto tributario e societario Managing Partner della sede Milanese di “Visconti Studio Legale” con sedi in Napoli e Milano e Partner di TAX&Law Studio di Consulenza Legale e Tributaria in Napoli.

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